Storie in centrifuga non è solo un romanzo che fa luce su uno dei momenti tristi, lavorativamente parlando, del nostro paese. È anche un diario, un reportage, un saggio su cosa hanno vissuto le famiglie coinvolte dalla chiusura della fabbrica Whirpool a Napoli.
I nostri autori sono andati sul posto, a Napoli per stare tra la gente che ha manifestato, che ha pianto, che ha gridato, per raccogliere le testimonianze, le emozioni, le paure, le domande che si sono posti gli stessi protagonisti.
Una scrittura semplice, lineare, che scorre tra le persone e che rende il lettore persona attiva, coinvolta nella vicenda, non solo semplice spettatore.
Ne riportiamo un piccolo testo che lo stesso Lorenzo ci ha omaggiati:
Italia era appena rientrata a casa dal lavoro e salutò tutti con un brillante e gioviale: «Buonasera!» Il suo lavoro di vigilatrice vicino ai ragazzi a semiconvitto le piaceva, e le permetteva di aiutare in casa. Ovviamente aveva pensato per sé un altro futuro, ma così erano andate le cose. Non aveva ancora pensato al matrimonio, perché sapeva che il suo stipendio era importante per la sua famiglia.
Posò il suo cappotto all’attaccapanni e si diresse verso la sua camera.
Con la coda dell’occhio intravide suo padre in cucina, seduto al suo posto a capotavola. Stava in silenzio e la guardava. Un brivido freddo le scorse sulla schiena.
Come cinque anni prima. Stessa scena.
Ma allora era appena rientrata dall’Università. E come quel giorno suo padre era seduto a capotavola in silenzio. Quel giorno di cinque anni prima lei entrò in cucina, guardò suo padre cercando di leggerne l’umore e si sedette all’altro lato del tavolo. Suo padre continuava a guardare lei e poi passava il suo sguardo sulle proprie mani. Poi di nuovo i suoi occhi incrociavano il suo sguardo. Era uno sguardo triste, di quegli sguardi che riassumono il sentirsi ferito, il dover ammettere e accettare una resa. Uno sguardo che non nascondeva l’umiliazione di non poter essere ciò che avrebbe voluto.
Italia capì che quel cambiamento di meteo sul ponticello dove si era assopita era il preludio ad un cambiamento ancor più profondo della sua esistenza.
Il padre respirò forte e con un filo di voce le comunicò la sua impossibilità di mantenerla agli studi.
Lei in quell’atteggiamento e in quelle parole lesse non il dispiacere di doverle dare quella notizia, ma la delusione di non poter coronare il suo sogno di una vita: vedere sua figlia laureata.
Capì che per lui quella decisione era più drammatica di quanto potesse esserlo per lei. Per questo si alzò, fece quattro passi veloci che lo separavano dal padre e lo abbracciò. Non lo aveva mai visto piangere e quei singhiozzi che sentiva in quell’abbraccio le fecero male. Pronunciò parole di conforto e di incoraggiamento. Non le fu difficile trovarle perché erano le stesse che avrebbe voluto sentir pronunciate per lei stessa.
Quando sentì che si era calmato si allontanò un po’ e, tenendolo per le spalle, gli sorrise e gli disse: «È stato comunque meraviglioso quello che sei riuscito a darmi fino ad adesso!»
Cinque anni dopo era ancora lì, appena entrata in casa, con suo padre che in silenzio la guardava.
Come cinque anni prima Italia entrò in cucina e, dopo una breve titubanza, si sedette all’altro capo del tavolo.
Come allora.
Questa volta però il padre non si guardava le mani. Lei volle leggerlo come un segnale positivo. Ma attese con trepidazione le sue parole.
«Mi mandano in pensione» disse senza far trasparire nessuna emozione. «Se vuoi puoi entrare in Whirlpool.»
Italia non credeva alle sue orecchie.
Come cinque anni prima corse dal padre per abbracciarlo.
Era una situazione strana. Sapeva quanto fosse importante per suo padre lavorare e, soprattutto, quel lavoro.
Ma sapeva quanto per lei fosse un sogno poter lavorare in mamma Whirlpool. Questa volta l’abbraccio fu senza singhiozzi. Anzi, il padre l’abbracciò a sua volta e la tenne stretta tra le sue braccia.
Dopo qualche attimo, lei lo allontanò e lui le sorrise.
«Spero di averti restituito un po’ di quello che ti avevo rubato cinque anni fa.» Lei non seppe trattenersi e iniziò un pianto incontrollabile e inarrestabile.
Quella notte Italia rivisse tutti i suoi momenti legati all’azienda. Ancora non era nata quando il padre entrò a lavorare per quella che all’epoca si chiamava “Ignis”.
Per lei, bambina, l’azienda dove lavorava suo padre era un posto incantato, dove c’erano persone eccezionali che aveva conosciuto durante le gite che venivano organizzate dal CRAL, il circolo che si occupava del tempo libero dei lavoratori.
Con quelle persone e con i loro figli, Italia trascorse dei momenti indimenticabili. Con molte di loro iniziò una vera e propria amicizia e quando il padre portava la famiglia agli eventi organizzati dal CRAL per lei era sempre una festa.
“L’azienda ti toglie e l’azienda ti dà” pensò Italia. Ignis non poté riconoscere al padre uno stipendio che le permettesse di continuare gli studi, ma adesso l’azienda saldava il suo conto in sospeso promettendole una base solida sulla quale costruire la sua vita futura.
Tratto da “Storie in centrifuga - Napoli non molla” di Lorenzo Rossomandi - Scritti e Rossana Germani (Temperatura edizioni)
Commenti
Posta un commento